02 marzo 2010

Infinite è finito

Lunedì 1 marzo 2010 (o Anno 16 dell'Era Di Berlusconi), alle ore 19,13 ho terminato la lettura di INFINITE JEST di David Foster Wallace.
E oggi scrivo come se nessuno ascoltasse. Che è la più grossa balla che uno che si possa raccontare, sia che si stia componendo l'Opera-Fondamentale-Che-L'Umanità-Attendeva o che si finisca il Bartezzaghi durante la produzione giornaliera delle feci. Quindi, perlomeno, scrivo per me. Per darmi una pacca sulla spalla prima di riprendere il ciclo di 20 flessioni/pausa/30 flessioni/pausa/ 40 flessioni/svenimento. Se c'è una cosa terribile scrivendo è il pensiero che quello che si scrive è 'banale', che rientra nel fin troppo lungo elenco di produzioni onaniste in cui l'autore parla bellamente dei cazzi propri e lo vuole fare, consapevolmente o inconsapevolmente, in modo 'carino', sprofondando così il povero cristo che lo legge nelle sabbie mobili della noia (avete presente quelle immagini classiche dei Tg quando c'è un disastro ambientale tipo petroliera incastrata al largo di qualche costa e si vedono gli uccelli che sbattono le ali incatramate e/o impetroliate e sembra il moto d'angoscia di uno che grida "Levatemi questa roba di dosso, cazzo, levatela"? Ecco, questo dà l'idea).
DFW non è mai così. Nei racconti brevi o nei saggi (vi prego, leggete anche solo "Forza, Simba" in "Considera l'aragosta", un reportage del viaggio elettorale di John McCain nelle presidenziali USA del 2000). Anche nella lista della spesa, suppongo. DFW non si specchia in se stesso. Né nei lettori. Non si specchia da nessuna parte. Inizia a scrivere di qualcosa, va in giro, si informa, legge, prova compassione, si incazza, cerca di capire e, alla fine, se ne parte per un pianeta dove l'atmosfera è fatta di pietas e dove ci si nutre di angoscia e amore e dove si digerisce tutto e si defeca in leggerezza. E il bello è che non è il suo pianeta speciale, siamo tutti invitati.
"Infinite Jest" non è un libro facile. Non è facile da rubare (provate voi ad uscire da una Feltrinelli con 1443 pagine messe sotto un cappotto lisciandovi i baffi e dicendo "Sa, sono al 5° mese). Non è facile da usare (si, certo, consiglio di aprire pagina 1 e di andare avanti in maniera progressiva ma la cosa è che ci sono 136 pagine di note dell'autore stesso che spaziano da sterminate cinematografie assurde a scomposizioni chimiche di sostanze + o - lisergiche e + o - lecite). Non è facile da programmare (come se vi dicessero "Okay, adesso stai per guardare un film della durata di 72 ore che, una volta iniziato, 'vorrai' continuare a guardare, perciò portati da bere, da mangiare e preparati a pisciare e cagare in una padella di plastica). Non è facile starci dietro (una sinossi è impossibile, così come un accenno di trama così come arrivare a ricordarsi tutti i personaggi che io ho cercato di seguire segnandoli su un foglietto ma poi mi sono rotto i coglioni e mi sa proprio che ho fatto il gioco di DFW). Non è facile sentirsi all'altezza (non di DFW che tutt'altro dall'altezza ma vola radente con noi, cammina con noi, striscia con noi; ma dall'infinito senso di tristezza/gioia che pare spremerti tutto per bene fino a che non ha finito per poi lasciarti guardare quello che hai spurgato e dirti "Toh, c'era anche questo").
Epperò oggi per me è il giorno 1 dell'anno 1 D. I. J. (Dopo Infinite Jest).
Mi sento confuso e tendo ad avere conportamenti che sono la summa di vari personaggi del libro. Tutto ha un senso e, pochi secondi dopo, questo senso scompare. Provo un senso di pace che credo preannunci la guerra. Sto smettendo di parlare con la gente. Guardo un mattone bluastro con gli angoli slabbrati e mi do una pacca sulla spalla e mi dico "Forza Simba".

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