22 marzo 2010

La Festa

La storia che sto per raccontare è tutta vera. Ma per rispetto verso le persone che potrebbero ritrovarsi descritte, non userò nomi reali e non fornirò indicazioni geografiche. Tutto rimarrà avvolto nelle fitte nebbie del MISTERO.
Io e la mia ragazza e Stefano F. e Tania in F. siamo andati sabato sera a Marina di R. presso il bar X per festeggiare il compleanno di Paolo B.
La donna di Paolo B., che chiameremo F., voleva organizzare una festa a sorpresa (il che, riguardando il sospettoso e sagace Paolo B., significa narcotizzargli l'impepata di cozze, vederlo cadere bocconi sulla suddetta impepata, liberargli le vie respiratorie dall'eventuale brodetto impepato, correre alla disperata nel bar sotto casa, prenotare tutto il bar anche ad una cifra immorale e non contrattabile, ritornare a casa, lanciare una mail multipla per gli inviti agli amici, pagare una tangente alla camorra dei server perché cancelli ogni indizio di mail e/o abbattesse le fibre ottiche in un raggio di 500 km, pregare Iddio di non aver fatto passi falsi e di aver cancellato le impronte digitali nei maniglioni del bar, vedere Paolo B. riprendersi e chiedergli "Avevi sonno, tesoro?", rispondere per i successivi 15 giorni a tutte le domande di Paolo B. con la tecnica logorroica dei bambini "Perché? Perché? Perché?").
Paolo B. naturalmente sapeva già tutto.
E sapeva che sarei andato anch'io. Questo è un elemento molto importante della nostra storia. Sapendo che anch'io sarei stato là, Paolo B. si era reso conto che non sarebbe stato lui il centro dell'attenzione. Non poteva buttarla sulla bellezza; io sono dotato di una cosa che si chiama 'sex appeal' e di cui si viene dotati solo dal buon Dio e di cui il buon Dio, nella distribuzione, è stato molto parco. Non poteva competere con la simpatia; i miei famosi finti-peti fatti stringendo una mano nell'ascella scatenato sempre una ridda di risate e ammirazione. Neanche l'eleganza avrebbe funzionato: il mio stile (o style) mi dona la grazia e la naturalezza di un gazzella unite alla salda ruvidezza urban dell'indiano dei Village People.
Niente avrebbe funzionato. Tranne una cosa.
La festa andava alla grande. Fiumi di lager tedesca a cascata. Letti di radicchio e amache di mortadella. Canti di sagge ballate popolari rurali come "Osteria numero 20, paraponziponzipo, se la figa avesse i denti, paraponziponzipo". Saluti a vecchi amici che non si vedeva da tempo. Jacuzzi e mignottoni e Habana grossi come una coscia. Poi siamo usciti fuori a fumare e uno, che chiameremo Kk, si è rollato una canna di dimensione wursterlesca mentre diceva che allenare me è stata l'esperienza più gratificante della sua vita.
Un filiforme ricciolino ci ha salutati dal balcone di casa di Paolo B. e ha detto di chiamarsi Micheal Jackson e che doveva badare al figlio di Paolo B. e ha fatto un moonwalk della madonna mentre agitava il marmocchio oltre la balaustra salutando una folla che, oggettivamente, non c'era.
Poi siamo rientrati. E Paolo B. ha chiesto di fare silenzio che voleva fare un discorso. Ed è lì che il piano diabolico ha avuto inizio.
Paolo B. ha ringraziato tutti. Ha ammesso che la festa a sorpresa lui l'aveva intuita da mesi. Ha cazzeggiato un po' (alla grande, bisogna ammetterlo). Ha descritto come nel rapporto con la sua compagna, Paolo B. era solito stupire e sorprendere la (appunto) compagna e che si era chiesto come in questa serata avrebbe potuto (appunto) sorprenderla. Poi si è inginocchiato, ha aperto un astuccio quadrato di pelle contenente un anello con diamante o zircone o vetro o plastica e le ha chiesto di sposarlo.

Tutto nella vita deve essere recepito, ogni insegnamento deve essere bevuto come acqua fresca alla sorgente e digerito (e poi pisciato, d'accordo). La vita ti porge a volte grosse fette di quel tortone che è la sapienza e sarebbe quantomeno poco furbo negarsene un morso. E Paolo B. in questa parabola ci insegna molte cose:
1)se hai intenzione di fare una proposta di matrimonio, è meglio farla in mezzo a tanta gente. Questo per: a)avere testimoni oculari del fatto che la tua compagna, anche se non risponde, intanto si è intascata l'anello; b)in caso di rifiuto a tale proposta, il pubblico femminile in lacrime per il gesto è disposto a smutandarsi in gruppo per tale maschio.
2)il rituale della proposta di matrimonio prevede l'inginocchiamento repentino il che richiede nervi d'acciaio, rotule d'acciaio ed un lungo allenamento per evitare sfilacciamenti tendinei.
3)che è sempre meglio avere un medico in sala (meglio se ortopedico, vedi punto 2).
4)che il rituale ha delle precise tappe d'avvicinamento che comprendono la lager tedesca a cascata, il sacrificio di una vergine (purtroppo questa tappa è sempre meno attuata per un qualche stupido cavillo legale che sconsiglia lo sgozzamento di una ragazza e, soprattutto, per l'attuale penuria di femmine vergini), fare una puntura inframuscolare di 1200 cc. di Averna alla compagna, sbarrare le porte, inginocchiarsi, aprire una scatola, bofonchiare una supercazzola e prendere il "Cazzo dici?" pronunciato dalla compagna per un Si.
5)che l'eventuale data e luogo del matrimonio sono concetti moooolto vaghi.
6)che tra me e Paolo B. era solo sesso e alla fine l'amore trionfa.

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02 marzo 2010

Infinite è finito

Lunedì 1 marzo 2010 (o Anno 16 dell'Era Di Berlusconi), alle ore 19,13 ho terminato la lettura di INFINITE JEST di David Foster Wallace.
E oggi scrivo come se nessuno ascoltasse. Che è la più grossa balla che uno che si possa raccontare, sia che si stia componendo l'Opera-Fondamentale-Che-L'Umanità-Attendeva o che si finisca il Bartezzaghi durante la produzione giornaliera delle feci. Quindi, perlomeno, scrivo per me. Per darmi una pacca sulla spalla prima di riprendere il ciclo di 20 flessioni/pausa/30 flessioni/pausa/ 40 flessioni/svenimento. Se c'è una cosa terribile scrivendo è il pensiero che quello che si scrive è 'banale', che rientra nel fin troppo lungo elenco di produzioni onaniste in cui l'autore parla bellamente dei cazzi propri e lo vuole fare, consapevolmente o inconsapevolmente, in modo 'carino', sprofondando così il povero cristo che lo legge nelle sabbie mobili della noia (avete presente quelle immagini classiche dei Tg quando c'è un disastro ambientale tipo petroliera incastrata al largo di qualche costa e si vedono gli uccelli che sbattono le ali incatramate e/o impetroliate e sembra il moto d'angoscia di uno che grida "Levatemi questa roba di dosso, cazzo, levatela"? Ecco, questo dà l'idea).
DFW non è mai così. Nei racconti brevi o nei saggi (vi prego, leggete anche solo "Forza, Simba" in "Considera l'aragosta", un reportage del viaggio elettorale di John McCain nelle presidenziali USA del 2000). Anche nella lista della spesa, suppongo. DFW non si specchia in se stesso. Né nei lettori. Non si specchia da nessuna parte. Inizia a scrivere di qualcosa, va in giro, si informa, legge, prova compassione, si incazza, cerca di capire e, alla fine, se ne parte per un pianeta dove l'atmosfera è fatta di pietas e dove ci si nutre di angoscia e amore e dove si digerisce tutto e si defeca in leggerezza. E il bello è che non è il suo pianeta speciale, siamo tutti invitati.
"Infinite Jest" non è un libro facile. Non è facile da rubare (provate voi ad uscire da una Feltrinelli con 1443 pagine messe sotto un cappotto lisciandovi i baffi e dicendo "Sa, sono al 5° mese). Non è facile da usare (si, certo, consiglio di aprire pagina 1 e di andare avanti in maniera progressiva ma la cosa è che ci sono 136 pagine di note dell'autore stesso che spaziano da sterminate cinematografie assurde a scomposizioni chimiche di sostanze + o - lisergiche e + o - lecite). Non è facile da programmare (come se vi dicessero "Okay, adesso stai per guardare un film della durata di 72 ore che, una volta iniziato, 'vorrai' continuare a guardare, perciò portati da bere, da mangiare e preparati a pisciare e cagare in una padella di plastica). Non è facile starci dietro (una sinossi è impossibile, così come un accenno di trama così come arrivare a ricordarsi tutti i personaggi che io ho cercato di seguire segnandoli su un foglietto ma poi mi sono rotto i coglioni e mi sa proprio che ho fatto il gioco di DFW). Non è facile sentirsi all'altezza (non di DFW che tutt'altro dall'altezza ma vola radente con noi, cammina con noi, striscia con noi; ma dall'infinito senso di tristezza/gioia che pare spremerti tutto per bene fino a che non ha finito per poi lasciarti guardare quello che hai spurgato e dirti "Toh, c'era anche questo").
Epperò oggi per me è il giorno 1 dell'anno 1 D. I. J. (Dopo Infinite Jest).
Mi sento confuso e tendo ad avere conportamenti che sono la summa di vari personaggi del libro. Tutto ha un senso e, pochi secondi dopo, questo senso scompare. Provo un senso di pace che credo preannunci la guerra. Sto smettendo di parlare con la gente. Guardo un mattone bluastro con gli angoli slabbrati e mi do una pacca sulla spalla e mi dico "Forza Simba".

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